Il fund raising: può avere effetti indesiderati, leggere le istruzioni prima dell’uso.
Di fund raising (anche con la F maiuscola per dare un’entità più strutturata al concetto) si parla o si sente parlare sempre più spesso e in contesti diversi.
Si tratta, con tutta evidenza, di un tema verso cui l’interesse è in espansione, secondo un modello di diffusione già realizzato nel nostro Paese a proposito di altri concetti, acquisiti e interpretati anche in Italia ad anni di distanza dalla loro nascita (o meglio dalla loro teorizzazione e applicazione sistematica e professionale) in contesti geografici e culturali diversi.
Questo vuol essere solo un piccolo contributo, soprattutto se rapportato alla portata del tema, alla discussione – sempre aperta – sull’argomento, con l’auspicio che la diffusione e l’interiorizzazione del processo e dell’approccio (anche mentale) al fund raising procedano più dritte e spedite, anche attraverso il superamento di fraintendimenti e pregiudizi, e portino ai risultati raggiunti altrove.
Alla radice: fund raising in una traduzione letterale significa “raccolta fondi”. Nella banalità della trasposizione dei termini nella nostra lingua si annida – così ci appare – un equivoco di fondamentale importanza: fund raising non è solo “chiedere denaro”.
Partendo dallo scopo di voler semplificare in poche righe una teoria di una certa complessità (di per sé sbagliato, ma “il fine giustifica i mezzi”) e non potendo dare adeguata rilevanza a tutti i contributi scientifici e applicativi sul tema, possiamo dire che il fund raising è, piuttosto, un insieme di azioni ed attività finalizzate alla creazione di un rapporto d’interesse fra chi (tipicamente l’organizzazione no profit) chiede risorse (non solo economiche) per raggiungere lo scopo definito nel proprio statuto o “documento di programma” e il potenziale donatore. Fare fund raising non significa quindi solamente chiedere denaro per qualcosa, ma impostare (e saper impostare) la costruzione di una relazione tra richiedente e donatore, una relazione costruita su principi economici (cioè propri dell’economia) che devono essere considerati ai fini della generazione di quello che è, a tutti gli effetti, uno scambio sociale.
Parliamo, quindi, non di chiedere (concetto peraltro spesso solo associato ad istanze pietistiche variamente declinate), ma di saper costruire i presupposti relazionali tra richiedente e donatore.
Questo, per fare un semplice esempio, mette in luce la differenza che passa tra una episodica richiesta di denaro per un’iniziativa (la raccolta fondi per il progetto umanitario Pinco&Sempronio, che potrà avere o non avere successo per motivi anche puramente casuali e congiunturali) e l’instaurazione di un vero e proprio dialogo (cioè un flusso di comunicazione bidirezionale non episodico) tra chi deve veicolare un messaggio relativo allo scopo per cui si richiede un finanziamento e chi deve reagire ad esso, dopo averlo ricevuto, elaborato e interpretato. Fund raising è quindi anche tutto ciò che precede e che segue la richiesta del finanziamento, che è di fatto solo un segmento del processo di strategia del fund raising.
Il “misunderstanding strutturale” a cui facevamo riferimento origina appunto – nella nostra esperienza – dal pregiudizio che ogni necessità di risorse possa essere affrontata attraverso il fund raising, che tutto ciò che sia una “richiesta di risorse” sia fund raising, e quindi che tutti (singoli, privati, enti pubblici, imprese, associazioni, profit, no profit) possano fare attività di fund raising più o meno nello stesso modo, “…tanto sempre di raccogliere denaro si tratta”. Quest’ultima affermazione rappresenta l’approccio più lontano dal bersaglio, peraltro molto diffuso in un tessuto socio-economico e di valori, quello italiano, per certi versi ritenuto ancora immaturo su questi temi (e questo nonostante e a discapito della davvero millenaria tradizione culturale nei campi di promozione e sostegno a cultura, arte, assistenza – ambiti classici di applicazione del fund raising).
Fare fund raising in modo strutturato e finalizzato allo sviluppo sostenibile di un’organizzazione significa piuttosto applicare professionalmente (e quindi, spesso, da professionisti) strategie di rilevante complessità che coinvolgono una pluralità di aspetti, anzi di universi (a rappresentarne l’ampiezza) concettuali e professionali. Solo per dire: etica, finanza, comunicazione, responsabilità sociale, fiscalità, media e new media, management.
Proveremo a raccogliere alcune “pillole tematiche” sul fund raising e a condividerle su questo blog, pillole che non hanno, Ça va sans dire, uno scopo “didattico”, ma di accendere semplicemente la curiosità su quello che riteniamo essere una potenziale chiave di volta per il successo di innumerevoli e diversificate iniziative, ma contemporaneamente un campo minato in cui è rischioso o controproducente avventurarsi improvvisando.
© Simona Biancu – Alberto Cuttica