Polaroid. Tutto si fa passato così in fretta che io faccio il revival di ieri.
Così cantava nel 1986 Davide Riondino riferendosi ad una tecnologia fotografica che a metà degli anni ’80 del secolo scorso poteva ancora a buon diritto dirsi attuale.
“Scatta e rivedi”, l’evoluzione del “voi premete il pulsante e al resto pensiamo noi” di Mr. Eastman (Kodak) cui è stato azzerato il fattore T. Il Tempo che intercorre fra lo scatto e la visione del risultato finale.
Fotografie come monumenti, realizzate negli studi, in posa, con l’abito della domenica, perdono la loro sacralità travolte dalla rivoluzione del “rullino”, prima, e del “pack” di istantanee, dopo, che avvicinando la fotografia alla massa la allontanano, però, dal “lavoro” del fotografo, funzionale
(anche) a determinarne il “valore”.
Ma la allontanano soprattutto dal Tempo, per contrastare l’erosione del quale, la fotografia (che “val più di mille parole”) era nata. Rivedere le fotografie era atto diacronico che si compiva solo a distanza (di tempo, e di spazio), era rinforzo (del ricordo, del sentimento).
L’azzeramento del Tempo muta sostanzialmente la prospettiva. Con la Polaroid tutto si fa passato così in fretta. Pochi istanti e “l’Istante” appena trascorso è già storicizzato su lastra, pronto ad essere rivissuto, appunto istantaneamente, ad essere rievocato (forse) nelle ore successive e
ad essere archiviato, insieme agli altri “monumenti” fotografici, chissà, forse per ricomparire decontestualizzato dopo qualche anno.
Continua, ora, a bastare un click (pallido residuato acustico di un passato elettromeccanico al quale la contemporaneità digitale si aggrappa alla ricerca di un’identità riconoscibile), e l’i-coso di turno registra fedelmente il nostro istante in una sequenza di zero e di uno. Per metterlo
immediatamente in condivisione su LCD con chi dell’istante ha partecipato e, poco dopo, con il resto del mondo.
Azzerato il tempo non serve più l’immagine come rinforzo del ricordo e del sentimento. Cessa quasi anche di essere documento, meno che mai monumento, per farsi contemporaneità, compresenza, sincronicità, evento essa stessa, superandosi, potenziandosi cioè, anche
sul fronte della sacralizzazione dei fatti cui la macchina fotografica partecipa attivamente rendendoli “eventi”.
Serve, quindi, l’immagine, come rinforzo dell’identità e dell’esistenza, sempre più smarrita e confusa. E deve essere veloce, altrimenti il rinforzo non funziona. Siamo (non importa cosa: qui, famosi, belli, vincenti); basta un attimo e non siamo più. Se siamo fortunati diventiamo revival,
altrimenti l’oblio. Lo sappiamo, cerchiamo di ignorarlo, ma ci facciamo i conti.
“Facciamoci la foto” diventa così attività orizzontalizzata nel range di possibilità dell’essere, qui e ora (non tanto diversa formalmente da “mangiamo un gelato” o “sediamoci li”) ma di straordinaria valenza esistenziale; istantaneità documentale rassicurante, ci conferma che siamo
(non “eravamo” ) proprio li.
E che forse almeno per oggi abbiamo speranza di continuare ad essere.
Domani, se tutto va bene, sarà revival.
Mauro Baldassarri – www.mbfabrica.it
Suggerimenti fono bibliografici
Davide Riondino, Polaroid, in Tango dei miracoli, 1986
Jacques LE GOFF, Documento/Monumento, in Enciclopedia, Einaudi, Torino 1978, vol. V