Pubblicità comportamentale e privacy
La pubblicità, in ogni sua forma, è come un’ombra che ci segue passo passo durante le nostre giornate; siamo talmente assuefatti ed ipnotizzati dalle sue forme camaleontiche che a volte non ci rendiamo nemmeno conto di quanti messaggi pubblicitari riceviamo e, soprattutto, di quanti feedback mandiamo.
Nell’era di Internet si è andata via via diffondendo e sviluppando una forma particolare di pubblicità: quella “online”. Questa forma di pubblicità rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei segmenti più dinamici e, purtroppo, più invasivi chela Reteporta con sè.
Una delle più recenti creature della pubblicità “online” si chiama pubblicità comportamentale. Con questo termine si intende il tracciamento degli utenti in rete, con il preciso scopo di desumere, dall’analisi delle loro azioni, un “profilo comportamentale” che possa ottimizzare i risultati commerciali attraverso la trasmissione di messaggi pubblicitari “personalizzati”.
Ma come è possibile tracciare questo profilo comportamentale e quali sono le tecniche più diffuse?
Le tecniche utilizzate sono per lo più basate sull’elaborazione delle informazioni derivanti da motori di ricerca e dal terminale dell’utente attraverso i cd. “cookies”. Esistono inoltre i cd. “flash cookies”, la cui adozione è in forte aumento perchè consentono di superare le limitazioni insite nella cancellazione dei cookies tradizionali.
Tuttavia le tecniche di tracciamento, oltre ad essere altamente invasive, possono risultare totalmente invisibili per gli utenti. Per tali motivi sono sorte svariate problematiche correlate alla legalità di tale pratica e, in particolar modo, per quanto attiene alla protezione dei dati personali e della vita privata dei singoli internauti. Sono intervenuti infatti tutti i legislatori e le autorità di protezione sia a livello nazionale che europeo attraverso un gruppo di lavoro che ha elaborato nel 2010 un parere che fornisce un quadro giuridico di riferimento abbastanza articolato.
Secondo le linee guida fornite, la pubblicità comportamentale soggiace alle disposizioni delle direttive e-privacy (2002/58/CE) e privacy (95/46/CE) o, nello specifico, della relativa normativa italiana di attuazione, vale a dire il Testo Unico sulla Privacy (D.Lgs. 196/2003). Peraltro, la direttiva e-privacy è stata modificata dalla recente direttiva 2009/136/CE che avrebbe dovuto ricevere attuazione nel territorio italiano entro la data del 25 maggio 2011 (scadenza che è stata, come di consueto, ignorata).
In buona sostanza, nel parere si evidenzia l’assoluta inadeguatezza degli strumenti tradizionali offerti dai browsers comunemente utilizzati, basati sul rifiuto preventivo e generalizzato dei cookies, e, dall’altro, l’opportunità di implementare meccanismi alternativi incentrati su un’azione positiva dell’utente stesso, dalla quale possa risultare la sua volontà di ricevere cookies e di accettare il relativo monitoraggio delle sue attività online, con lo scopo di ricevere messaggi pubblicitari personalizzati.
Per quanto concerne invece gli obblighi informativi, sul rispetto dei quali si basa la validità del consenso, è stata considerata insufficiente la semplice menzione dell’uso della pubblicità comportamentale all’interno delle condizioni generali del sito e/o dell’informativa privacy; è necessario infatti che agli utenti venga comunicato, in modo chiaro e semplice: i) chi è il responsabile del trasferimento dei cookies e della raccolta delle informazioni, ii) il fatto che i cookies verranno utilizzati per creare un profilo dell’utente, iii) il tipo di informazioni raccolte, iv) l’utilizzo del profilo per la trasmissione di messaggi pubblicitari personalizzati, v) la possibilità che l’utente sia identificato attraverso i cookies su diversi siti web.
Allo stato però, vista l’inerzia mostrata dagli organismi italiani in ordine al recepimento e all’attuazione di specifiche norme a tutela dei singoli utenti, mi pare che l’unico rimedio all’invadenza della pubblicità comportamentale sia rappresentato dall’occhio vigile degli internauti.
Fabio Saini